L'albero dai frutti squisiti.

C'erano una volta un re e una regina che avevano quattro figli, finché venne la carestia. 

La terra non diede più erba né gli alberi frutta, il re e la regina non riuscivano a sfamarli. 

Decisero di abbandonare il più piccolo: lo condussero in un bosco, lo baciarono, lo raccomandarono al bosco e se ne andarono.


Il piccino camminò fino a sera, quando giunse ad una casa.

Bussò. 

Venne una vecchia:

"Povero piccolo, hai fame, entra, mangia."

C’erano torte e pasticcini che mangiò a sazietà.

Visse con la vecchia, ogni giorno gli dava dolci, dolcetti, giochi e giocattoli.

Ma era una strega, i giochi erano cattivi, i dolci velenosi: giorno dopo giorno gli crebbe un pelo ispido e nero che lo coprì come una pelliccia, finché divenne una creatura pelosa del bosco.

Prese a scorrazzare nel bosco come ordinava la strega: cacciava gli animaletti, faceva dispetti, li sberleffava, li offendeva, li bastonava, li catturava e li teneva prigionieri, così come la strega teneva prigioniero lui.

   

Passarono gli anni, passò la carestia, i tre figli del re e della regina crebbero e un giorno dissero:

"Dove sarà il nostro fratellino abbandonato nel bosco? Andiamo a cercarlo!"

Entrarono nel bosco e camminarono fino a sera, quando giunsero alla casa.

Bussarono. 

Venne la vecchia:

"Poveri piccoli, avete fame, entrate, mangiate."

C’erano tutte quelle torte e pasticcini che mangiarono a sazietà.


Il giorno dopo si rimisero in cammino, ma lungo il sentiero furono assaliti dalla creatura pelosa re del bosco.

Stava sui rami più bassi di un albero, appena li vide tirò loro in testa manciate di ghiande, urlando, saltò loro addosso, li buttò a terra e gridò:

"Sono il re del bosco! Obbedite!”

Il maggiore dei fratelli si rialzò senza curarsene e voleva proseguire il cammino. 

Il secondo si rialzò entusiasta e disse:

"Io sarò la tua guardia!"

Il più piccolo scoppiò a piangere.

Il re rise sguaiato.

Il piccolo balzò in piedi, voleva picchiarlo, ma il secondo lo respinse e cadde di nuovo a terra.

Allora il maggiore lo consolò, l'aiutò ad alzarsi, e si rimisero in cammino.

Il re andava loro dietro, schiamazzava ogni momento, inseguiva le creature del bosco e faceva gli scherzi al più piccolo.

Quando fu sera trovarono una casa, ma era sempre quella della strega, che dava loro da mangiare i dolcetti avvelenati, talché il pelo cresceva anche su loro. 

Ogni giorno camminavano alla ricerca del fratello perduto, e il re li seguiva; il più piccolo aveva paura, ma talvolta lo ammirava, l’abbracciava e avrebbe voluto essere la sua guardia; però talvolta lo odiava e avrebbe voluto essere lui il re, lo sfidava e l’attaccava, ma quello era sempre il più forte.


Un giorno che i quattro si erano spinti più in là nel fitto del bosco, giunsero al cuore: un grande prato verde, pieno di fiori d'ogni stagione e colore, percorso da un ruscello che gorgheggiava fra sassi lisci e bianchi, e nessun albero, solo uno, un enorme albero bianco come la luna, al centro del prato, con i rami larghi e la chioma folta, le foglioline verdi scintillanti mosse da una brezza fragrante e deliziosa, ogni ramo carico di miriadi di fiori e frutti grossi e succosi e nugoli di api ammattite a suggere il nettare, e nel fitto dei rami abitavano frotte di uccelli che cantavano tutto il dì.   

I quattro corsero ai piedi dell'albero con salti e capriole, si presero per mano e si lanciarono in un allegro girotondo; poi si coricarono nell'erba felici e stettero all'ombra fresca.

Dopo che furono riposati, il maggiore s'arrampicò sull'albero e ne raccolse i frutti squisiti.

Il secondo voleva seguirlo, ma il re lo richiamò agli ordini e si diedero a scorrazzare per il prato a caccia di animaletti.

Il più piccolo rimase pensieroso e triste ai piedi dell'albero, un po' desiderava assaggiare quei frutti succosi, un po' voleva seguire il re, che lo chiamava da lontano e gli faceva sberleffi; ma quando si decise a correre dietro il re, quello gli tirò ghiande, e il secondo gli rise dietro.

La sera mangiarono sotto l'albero i frutti deliziosi e trascorsero la notte dormendo fra le radici.


Quando si svegliarono al mattino trovarono un nanetto barba lunga:

"Forza! È ora di mettersi al lavoro! Ci sono da togliere le erbacce in tutto il campo."

I tre fratelli si misero subito al lavoro.

Il re scoppiò a ridere:

"E chi sei tu per darmi ordini? Io sono il re del bosco e nessuno mi comanda."

Ma il nanetto rispose lesto:

"Un re per essere un buon re deve prima essere un buon servo. Forza, al lavoro!"

E scomparve fra le radici dell'abero.

Il re prese strappò svogliatamente qualche erbaccia, e poi corse a giocare nel ruscello.

Poco dopo il secondo dei fratelli disse stizzito:

"Se quello si diverte tanto, perché io devo faticare?"

E corse a giocare con lui.

A fine giornata il maggiore dei fratelli salì sull'albero a raccogliere i frutti, che divise con tutti quanti.


Il mattino dopo riapparve il nanetto barba lunga:

"Forza! È ora di mettersi al lavoro! Dovete contare quanti fili d'erba ci sono in questo prato."

Il re protestò:

"Nient'affatto! Troppa fatica!"

Ma il nanetto rispose lesto:

"Un re per essere un buon re deve prima sapere. Forza, al lavoro!"

E scomparve fra le radici dell'abero.

Presero tutti e quattro a contare, e talvolta il re dava uno spintone al più piccolo dei tre, perché gli dava fastidio, o chiamava il secondo a giocare, perché era stufo, e il secondo non voleva, ma poi correva a giocare, ma il primo li richiamava e tornavano tutti e quattro a contare.

La sera mangiarono i frutti sotto l'albero che erano davvero deliziosi.


Il mattino dopo riapparve il nanetto barba lunga:

"Forza! È ora di mettersi al lavoro! Dovete prendervi cura dei fiori del prato."

Il re protestò:

"Sono stufo di te, brutto nanetto!"

Ma il nanetto rispose lesto:

"Un re per essere un buon re deve sempre portare rispetto a tutti, anche al maestro!"

"Io non voglio nessun maestro!"

"Un re per essere un buon re deve prima imparare tutto quello che deve imparare dal maestro e deve sempre ubbidirgli!"

E scomparve fra le radici dell'albero.

Allora tutti e quattro si diedero a curare i fiori del prato, e non riposarono fino a che non fu sera.

Poi raccolsero insieme i frutti dell'albero e mangiarono allegramente.


Quella notte l'energia dei frutti che avevano mangiato vinse il maleficio della strega: caddero loro i peli e al re tutta la pelliccia; e al mattino, quando si svegliarono, i tre fratelli riconobbero il fratello perduto e lui loro: balzarono in piedi, si abbracciarono e si lanciarono in un allegro girotondo intorno all'albero.

Allora di fra le radici comparve il solito nanetto barba lunga:

"Di là c'è un canale d'irrigazione che si è bucato: c'è una falla nell'argine e l'acqua esce a fiotti, sta allagando tutto il campo. Andate a ripararlo!"

I quattro andarono subito a vedere e si diedero un gran daffare per ripararlo, ma non riuscivano a cavarsela: prima cercarono di chiudere il buco con il fango, ma si scioglieva sempre e l'acqua continuava ad uscire copiosa; poi cercarono di tapparlo con i sassi, ma l'acqua trovava sempre spazi dove passare fra un sasso e l'altro; allora cercarono di chiuderlo con rami foglie ed erbe intrecciate, che ressero un po', ma la forza dell'acqua era troppa e alla fine li trascinò via.

I quattro fanciulli cominciavano a scoraggiarsi e non sapevano più che fare.

Sedettero nel buco a riposare.

E s'avvidero che quasi lo tappavano il buco, e che usciva molto meno acqua.

Allora cercarono una posizione perfetta: uno si mise così, l'altro si mise cosà, uno incastrò i piedi lì, l'altro là, uno mise la mano qui, l'altro spinse la testa qua, si strinsero bene l'uno contro l'altro e tutti insieme contro i margini del buco, e improvvisamente non uscì più acqua. Neppure una goccia. Stettero fermi. Uno fece per parlare, ma appena aprì la bocca già si era mosso e l'acqua riprendeva a uscire: richiuse la bocca e si strinse di nuovo per bene. Stettero fermi, immobili e zitti. L'acqua scorreva gorgheggiando nel suo alveo. Non usciva neppure una goccia. I quattro respiravano lento e rilassato. Erano felici. Ridevano in cuore. Il tempo scivolava via. E loro stavano lì.

Passò anche la notte.

E sarebbero ancora lì, se al mattino di fra le radici dell'albero non fosse sbucato il nanetto barba lunga, che non li trovò, ma vide che il campo era asciutto, non era più allagato, e li chiamò:

"Dove siete?! Venite subito qui!"

I quattro sentirono che li chiamava e balzarono fuori dal buco.

Corsero da lui.

"Eccoci, maestro!"

"Dove eravate?"

"Nel buco. Non riuscivamo a chiuderlo in alcun modo, finché ci siamo entrati dentro: e l'acqua non è più uscita. Ma ora ci hai chiamato e siamo corsi da te e l'acqua è tornata ad allagare il campo. Cosa dobbiamo fare?"

Ma il nanetto li abbracciò felice e disse:

"Basta. Avete imparato tutto quello che avevate da imparare. Ora andate, tornate al vostro regno!"


I quattro fratelli s'inginocchiarono intorno all'albero, e ringraziarono di cuore.

Poi balzarono su e corsero attraverso il prato e il bosco e fuori dal bosco fino al palazzo.

Allora il re e la regina diedero a ognuno la sua parte del regno.